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CPR Macomer: più personale e più diritti

Quando Irene Testa ha visitato il CPR di Macomer, il centro di permanenza per i rimpatri attivato negli anni scorsi nell’ex carcere per accogliere i migranti senza permesso di soggiorno in attesa di essere rimandati nel loro paese, nella struttura c’erano 38 persone.
Presto il loro numero raddoppierà.
Irene Testa, storica esponente del Partito Radicale, da sempre impegnata nella lotta per il riconoscimento dei diritti umani e per la promozione e il rispetto dello stato di diritto, è la garante dei detenuti per la Sardegna, figura che con un’espressione più elegante viene chiamata «garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale», ma la sostanza non cambia.
Durante la visita ha rilevato problemi per i quali ha ritenuto necessario segnalare la situazione al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti di Strasburgo, uno strumento non giudiziario, a carattere preventivo, destinato a proteggere le persone private della libertà dalla tortura e da altre forme di maltrattamenti.

Lo ha fatto chiedendo al presidente del Comitato, Alan Mitchell, di visitare il Cpr di Macomer, quello che fino a dieci anni fa era un carcere con due sezioni una delle quali ospitava terroristi islamici.
Irene Testa riconosce gli sforzi di chi lo dirige e ne cura la gestione, ma rileva anche criticità che preoccupano tra le quali «la presenza di persone che, in realtà, non dovrebbero neanche trovarsi in un Cpr».
La garante dei detenuti sottolinea inoltre che il personale che opera nella struttura di Macomer è in numero inadeguato e col raddoppio degli ospiti i problemi si moltiplicheranno. Rileva ancora che le attività sono scarse e lasciate alla buona volontà di chi ci lavora. «L’aumento del periodo di permanenza fino a 18 mesi per persone che non hanno compiuto alcun reato e sono trattenute in condizioni peggiori che in un carcere _ dice _, è francamente inaccettabile». Rileva ancora che gli ospiti della struttura non possono mettersi in comunicazione con i familiari e praticamente la loro condizione è quella di detenuti che non hanno subito nessuna condanna.